Al 9 di Conte Rosso #3
Spiccioli di Lambrate, editoria per l'infanzia e un "coccodrillo marchigiano
“Scusi il disordine, riesce a passare?”
“Si figuri, è un gran bel disordine”Una passante all’Aedicolante, via Conte Rosso
Un mese e poco più. Un mese e poco più di albe in Conte Rosso e di dita annerite dall’inchiostro. Perché i giornali si leggono prima con le mani, poi con gli occhi. In un’edicola, un mese è poco e insieme tantissimo: il tempo ha l’andatura dei bighelloni, si misura in saluti e mani tese. Le ore non passano, ma passeggiano, a volte si affollano e altre giocano a nascondino. Sempre, però, hanno un volto e una voce, un passo riconoscibile. Le sette e trenta sono Jacopo che agguanta un Manifesto dalla canna della bicicletta, le nove sono Greta che porta un caffè fumante e un “come ti va oggi”. La metà mattina arriva in soprabito e gonna lunga, una signora dal sorriso facile e dalla chiacchiera sciolta. Le piace il gossip, e me lo racconta in un dialetto spumeggiante. Con Lambrate sulla lingua.
Ci sono poi i giorni delle processioni, dei pellegrinaggi. Il giovedì è la Mecca dell’Enigmistica, con decine e decine di mani che frugano nei portafogli e nelle tasche in cerca della moneta che, da sola, vale una Settimana. E poi c’è il venerdì del “Sacco degli inserti”: infarcisco pile di Corriere della Sera e Repubblica di copie e copie di Sette e de Il venerdì, e aspetto che le api vengano ai fiori. Dopotutto, leggere è un po’ come impollinarsi. Anche senza volerlo, qualcosa ci resta addosso e ci fa profumare. Se sei un edicolante, impari in fretta che la cultura è appiccicosa. Come lo è la curiosità di Piotr, che a 14 anni prende al volo un Corriere sulla via per la scuola. Lo legge in classe, tra una lezione e l’altra, perché “mi piace sfogliarlo e tenermi informato”, dice. Sono mozziconi di storie, quelli che le persone lasciano sotto i battenti di un’edicola. Un giorno conosci l’inizio, un altro è fatto di silenzi, un altro ancora ti addentri nei dettagli. Le vite vengono a galla alla spicciolata, mentre si allungano resti o si chiudono ombrelli. E il quartiere prende forma, acquista profondità, si fa raccontare. “La chiamavano la Monte Napoleone di Lambrate, via Conte Rosso” mi dice una signora con il borsellino ancora aperto e il giornale ripiegato nelle buste della spesa. “Era piena di botteghe, una dietro l’altra. Macellai, fornai, addirittura un carbonaio. In strada era tutto un vociare di chi giocava a bocce o a morra nelle osterie”. È come se fermarsi in edicola faccia fermentare i ricordi. E in un mese e poco più ne abbiamo già imbottigliati parecchi.
Una via “en Rrose”: in Conte Rosso arrivano i libri di Rrose Sélavy
Rrose Sélavy è un nome atipico, uno di quelli che finisce per restarti in testa come una filastrocca. “Sbaglierò senz’altro a pronunciarlo” penso mentre il telefono sta già squillando. È una chiamata fissata da un paio di settimane, da quando i libri sono arrivati in Aedicola. Sì, perché Rrose Sélavy non è solo un nome atipico: è una casa editrice indipendente. E i suoi libri ti si ficcano in testa ancora meglio di una filastrocca.
“Siamo nati nel 2012, a Macerata. È stata un’illuminazione di Massimo De Nardo, il nostro fondatore e primo editore: lavorava con la scrittura ogni giorno, come copywriter, ma la sua passione andava ben oltre. Amava il teatro e l’arte, organizzava laboratori dedicati alla narrazione. Scriveva racconti. Prima di Rrose Sélavy ha fondato una rivista d’arte contemporanea, in cui si incrociavano stimoli e tematiche diverse. Era eclettico per natura, Massimo, trasversale proprio come la sua casa editrice. L’ho conosciuto sul lavoro, e da grafico sono rimasto affascinato dalla sua nuova avventura editoriale, tanto da finirci dentro. Quando poi è scomparso, nel 2020, ho sentito di poter dare di più, e così ho preso in mano le redini di Rrose Sélavy”.
A parlare è Paolo Rinaldi, l’attuale timoniere della casa editrice marchigiana. Mi chiedo quante volte abbia sentito ripetere “i vostri libri sono favolosi”. Me lo chiedo mentre glielo dico, perché i libri di Rrose Sèlavy sono davvero una meraviglia. Pensati per l’infanzia, ma in grado di imbrogliare il tempo e salterellare tra le fasce d’età, sono storie vestite di parole e colori, in cui racconto e illustrazione svelano l’uno il meglio dell’altra. Un esempio? Se un coccodrillo bussasse alla vostra porta fa colpo già dalla copertina: l’ocra dello sfondo incornicia un coccodrillo dai mille colori, vivo come un graffito su un muro. E non è un caso.
“È la nostra ultima uscita, un punto di ripartenza. In “Se un coccodrillo bussasse alla vostra porta” c’è moltissimo della nostra identità, di come intendiamo l’oggetto libro: non solo qualcosa da sfogliare e accantonare su uno scaffale, ma un pezzo d’arte contemporanea. È per questo che abbiamo scelto Gio Pistone per le illustrazioni: è una street artist di fama nazionale, e il suo stile dà al testo una dimensione aggiuntiva. E poi, l’ha scritto Massimo. Il racconto è un suo inedito, un omaggio a Gianni Rodari per il centenario della sua nascita. Pagine mai pubblicate, lasciate in un cassetto. Recuperarlo è stato l’inizio di un nuovo corso, in cui però si mantengono vivi i principi che hanno ispirato la fondazione della casa editrice”.
E così si spiega la scelta del nome atipico. Rrose Sélavy è infatti uno degli alter ego più celebri dell’artista francese Marcel Duchamp, che nella sua verve camaleontica ha saputo scardinare l’immagine preconfezionata dell’uomo-artista indossando abiti femminili e travasando in essi un intero universo creativo. Per fare arte, diceva, “penso si possa usare il proprio modo di respirare, di agire, di reagire agli altri”.
“Come la Rrose Sélavy di Duchamp, cerchiamo di approcciarci all’Altro in modo creativo. Mettersi nei panni degli altri significa tendere l’orecchio alle loro storie, sottrarle all’invisibilità. Allenare l’empatia. E credo che non ci sia modo migliore di stimolare l’immaginazione dei più piccoli. Ecco perché le nostre collane esplorano di proposito temi impegnati, a volte considerati delicati in certe fasce d’età. Migrazione, memoria, diversità e inclusione, resistenza: non c’è nulla che non si possa raccontare, e l’editoria per l’infanzia dovrebbe sempre più rompere il tabù del “questo non fa al caso di un bambino”. Li sottovalutiamo, i bambini. Con la loro forza immaginativa, riescono ad assorbire e rielaborare in modo profondo e originale molto più di quanto pensiamo. Collane come “Il Quaderno quadrone” e “Il Quaderno cartone” si ispirano a questi principi, e sono state molto apprezzate”.
Alessandro Ghidini, l’Aedicolante
Una vera e propria dichiarazione d'amore al proprio lavoro, grande Ale 👏